La fisica non ha ancora dimostrato come Julio Cesar sia arrivato su quel tiro di Messi

28 aprile 2010.
L’Inter va al Camp Nou per la semifinale di ritorno di Champions League dopo il 3-1 d’andata a San Siro.
Bisogna fermare il Barcellona di Pep, bisogna resistere all’assedio in ogni modo.
Bisogna sognare, per poter volare in finale.

Ma c’è un signore che i sogni non li lascia sul cuscino la mattina. Li rende realtà, andandoli a prendere con le mani su ogni pallone.
Julio Cesar “l’acchiappasogni” decide di farlo anche quella sera.
Leo Messi parte da destra come suo solito, si accentra, lo inseguono, Samuel ci si fionda addosso.
Ma Leo passa, converge, va verso sinistra.
Tutti sanno cosa sta per succedere, lo sa ogni portiere, che puntualmente in ogni partita non riesce a fermare quell’alieno.

Parte il tiro a giro, ma Julio ha gambe forti.
Salta, allunga le mani stendendo le dita fino a spezzarsi le falangi.
Ne basta una, quella del dito medio.
La punta di quel dito butta la palla in angolo, annullando i sogni dei blaugrana.
Julio ha volato di nuovo.

Perché il Milan indossa il badge della Champions e l’Inter no?

Amanti delle divise calcistiche delle più forti squadre d’Europa, oggi siamo qui per voi. E non certo per riciclare denaro sporco vinto con la Serie C brasiliana invogliandovi a comprare, tramite illegalissimo codice sconto LAMECKBANDALECCE10, la divisa away del Fulham di Roy Hodgson, bensì spiegandovi una particolarità che caratterizza le magliette delle squadre che giocano la Champions League.

I più attenti avranno forse notato un piccolo dettaglio, che riguarda ad esempio le squadre italiane: quando il Milan ha affrontato prima Napoli e poi l’Inter nella scorsa edizione, solo i rossoneri portavano il badge della Champions League a forma di coppa con il numero delle proprie vittorie, mentre ad esempio i cugini nerazzurri (che a differenza dei partenopei l’hanno vinta più volte), ne erano sprovvisti.

E questo dettaglio non riguarda la cura del brand manager delle squadre, quanto più una vera e propria regola stilata dagli organizzatori della Champions League.

Infatti, per poter esibire questo famoso badge, occorre possedere almeno uno di questi due requisiti:

– vincere almeno 5 volte la Champions League

– vincere la Champions League per tre edizioni di fila

Già, non certo due possibilità da poco: basti pensare che il primo requisito è soddisfatto ad esempio da soli club storici come Milan, Barcellona e Real Madrid, Liverpool e Bayern Monaco, mentre il secondo da un’unica, indimenticabile squadra: l’Ajax, grazie al lavoro di Cruiff.

E così, quando ad ottobre Haaland scenderà nuovamente in campo nella massima competizione europea da campione in carica, non potrà sfoggiare questo dettaglio sulla propria maglia, ma conoscendo le ambizioni di Pep Guardiola, lavorerà al massimo per poterlo fare nella stagione 2026/2027.

Cosa ne pensate di questa piccola chicca? Superflua o un bel modo per dare la giusta importanza ai club più forti della storia?

In ogni caso, con o senza badge sulla spalla, stasera l’Inter gioca in casa della Real Sociedad e noi crediamo che possa vincere come nel Derby!

Che fine ha fatto Maicosuel?

Sì certo, è proprio quel calciatore che ha tirato il rigore più importante della storia dell’Udinese con un cucchiaio sgonfio e triste, distruggendo i sogni di un popolo intero.

Ma no, anche se fa sempre clickbait, oggi non andremo a parlare di quella storia legata a Maicosuel Reginaldo de Matos, noto ai più come Maicosuel: oggi vorremmo concentrarci su cosa gli è accaduto dopo quel momento catartico e che cosa lo ha spinto ad essere oggi, a 37 anni appena compiuti, uno dei più grandi rimpianti del calcio brasiliano.

Udinese, dicevamo: due stagioni, 47 presenze e soli 4 gol; bottino veramente magro per uno che in patria era soprannominato “O Mago” e “Maicoshow”.

All’epoca dei fatti Maicosuel ha 28 anni, è nel pieno della sua maturazione calcistica e ha comunque un discreto mercato, tale da potersi rilanciare lontano dall’Italia.

La saudade brasiliana, però, lo colpisce in pieno: decide quindi di tornare a casa, all’Atletico Mineiro, che lo accoglie come un figliol prodigo.

Lì, alla soglia dei 30 anni, gioca due stagioni abbastanza bruttine, con 37 presenze totali e soli 4 gol: il mago non esiste più, scomparso come una bolla di sapone, ciò che resta sono offerte improbabili da club ancora più improbabili, alla ricerca di nomi da esibire, più che di veri calciatori.

E così arriva il prestito allo Sharja, club degli Emirati Arabi, dove Maicosuel sverna con piacere, collezionando in una stagione 32 presenze e 7 assist.

Non c’è nulla, però, come l’odore di casa: O Mago non riesce proprio a resistere e sceglie di rifiutare le offerte dei club arabi per tornare nuovamente all’Atletico Mineiro per altre due stagioni, in cui colleziona il desolante score di 25 presenze e 2 reti.

La carta d’identità segna ora 32 e i tifosi dell’Atletico sono stanchi di lui: è imbolsito, indolente e troppo spesso in infermeria; un ultimo colpo di fortuna lo porta al Gremio, sempre in Brasile, dove Maicosuel riesce nella difficile impresa di fare peggio rispetto a tutte le sue precedenti avventure: 2 presenze e 0 gol in un’intera stagione.

Solo chi lo ha amato davvero, a questo punto, può essere così pazzo da dargli un’altra possibilità: arriva infatti il Paranà, squadra che lo aveva fatto esordire da ragazzino, a fargli firmare un contratto annuale.

Ma ecco il colmo: mentre Maicosuel, infortunato, assiste in tribuna ad una partita dei suoi compagni, il direttore sportivo della squadra si lascia scappare un commento non richiesto sul suo scarso impegno, scoppia una rissa da far west sugli spalti, al termine della quale Maicosuel si ritrova senza contratto.

È, forse finalmente, la fine della sua carriera. Una triste odissea brasiliana iniziata con un cucchiaio e terminata con una rissa. E’ vero: il calcio è strano, ma a volte la vita lo è di più.