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Tuta, il brasiliano che se ne fregava di tutti

Tuta era partito per Venezia con una borsa piena di sogni e poco più; un cambio di mutande pulite e gli scarpini portafortuna. L’ingaggio strappato al presidente del Venezia Zamparini, non gli forniva nessun tipo di certezza nella vita, se non quella del minimo salariale e di un’ampia possibilità di licenziamento senza preavviso.

Ma nella vita non si può dar nulla per scontato. Bisogna sempre fare i conti con il Buon Dio e con i suoi piani, spesso contorti e incomprensibili per noi poveri mortali. E in questo caso, per Tuta, aveva proprio in mente uno scherzetto colossale.

Così, dai piani alti, fecero in modo che il timido e impaurito brasiliano, appena indossata la casacca verde-arancio, facesse il botto: vittima di un incantesimo da mille e una notte, da ruvido e scoordinato attaccante si trasformò per quindici giorni in pantera dell’area di rigore, presentandosi al calcio che conta con due gol tanto inspiegabili quanto immeritati nelle prime due giornate di campionato. La gente urlava il suo nome, i giornali ne esaltavano le doti di goleador. I compagni di squadra, che lo conoscevano bene, erano un po’ più diffidenti: Alvaro Recoba, l’unico certo del posto da titolare, se ne fotteva alla grande, tanto la palla non la doveva passare mai a nessuno. Per il Chino la vita in Laguna scorreva facile: la domenica a scaraventare bombe nel sette, il resto della settimana a cazzeggiare fra bar e casinò.

Nonostante lo scetticismo dei compagni e di Mister Novellino, l’esplosione di notorietà che investì Tuta fu senza dubbio clamorosa e gli diede immediatamente alla testa: catapultato in un universo nuovo, iniziò senza remore a far la bella vita fumandosi il primo stipendio con un aperitivo sontuoso sul Ponte di Rialto. Flash dei fotografi, belle donne, promesse, promesse e ancora promesse. Il futuro si preannunciava a dir poco glorioso.
Peccato che i progetti del Signore del piano di sopra fossero ben altri: prendi un calciatore disadattato, fanne un goleador e poi, non appena questo inizia ad assaporare il gusto del successo, gli togli tutto il talento di punto in bianco. La maledizione scagliata contro Tuta fece sì che dopo appena quindici giorni di notorietà, l’attaccante si ritrasformasse in brutto anatroccolo e smettesse di segnare gol in qualsiasi contesto, dai due contro due di inizio allenamento alle sfide a Fifa98 con Pippo Maniero.

Sei mesi dopo.

Sembra passata una vita dall’ultima marcatura e Tuta è irrimediabilmente avvinto in una morsa di affitti salatissimi e bollette terribili. Ora è semplicemente un extracomunitario con un permesso di soggiorno temporaneo e un impiego precario. Un immigrato terrorizzato che teme per la propria incolumità. Tuta sa che se vorrà evitare di essere rispedito in una baraccopoli a mendicare pane, dovrà tornare a fare ciò per cui è stato comprato: segnare gol.

Almeno uno, porca di quella troia.

24 gennaio 1999. Domenica mattina. Pippo Maniero si sveglia di buonora, con la certezza che la combine di oggi non può saltare. Tutti sono stati avvertiti. Tutti tranne Tuta, che però non segna da sei mesi ed è talmente imparanoiato da trascorrere le notti in bianco a sognare allibratori e creditori che lo inseguono con la spranga in mano.

No, Tuta non è certo un problema.

In partita tutto va secondo i piani. Uno a uno apparecchiato egregiamente, solo il recupero a dividere le due squadre dal finale concordato. Quando Tuta scende in campo per gli ultimi minuti, non si ricorda neppure come si fa a correre.

Punizione per il Venezia. La palla viene svogliatamente calciata in area. Nessuno cerca realmente di colpirla per spazzarla o per segnare il gol del 2 a 1. Tranne lui, ovviamente.

Quando Tuta alza la testa verso il cielo, non vede un pallone coperto di fango ma il proprio destino. Il cross sembra telecomandato, i difensori sono muti e immobili come delle statue. Tuta capisce che forse, lassù, qualcuno lo sta di nuovo aiutando. Salta più in alto di tutti. O meglio, è l’unico a saltare.

La nebbia si dirada per un istante, Tuta emerge nel firmamento, impatta il pallone all’apice del volo e lo scaraventa in porta. Corre come un pazzo sotto la curva. Il popolo veneziano esplode di gioia e invoca il suo nome.

Lui continua la sua esultanza, si sente il nuovo Ronaldo. Quando si gira, però, non trova uno stuolo di compagni a strofinargli gli scarpini: quelli si guardano tra di loro, increduli. Poi accennano una sbiadita esultanza che però non convince nessuno.

Al triplice fischio finale De Rosa e Garzya scattano nel tunnel come mai in quei 90 minuti, Maniero e De Ascentis li seguono a ruota. Con passo più blando li raggiunge anche Tuta. De Rosa lo insulta schiaffeggiandolo dolcemente, Spinesi cerca di rifilargli un cazzotto da dietro. Tuta non capisce, accenna un sorriso nervoso, guarda verso l’alto, in cerca di un segnale di conforto del buon vecchio Dio. Solo adesso Tuta capisce di essere un burattino, una pedina manovrata nella più crudele delle messinscene. Il gol che per lui poteva significare salvezza si è rivelato un vero e proprio harakiri. La combine è saltata, la sua carriera è finita, ma soprattutto ora è solo, in un tunnel buio, un purgatorio che lo accompagna verso l’inferno degli spogliatoi.


L’indomani un Tuta ancora dolorante viene imbarcato sul primo aereo diretto a Salvador de Bahia. Quando il jet decolla, Tuta non si volta indietro. E fa una promessa: non penserà mai più a Venezia, strapperà i giornali, brucerà le foto, venderà tutte le magliette. Non conserverà ricordi dell’Italia, farà di tutto per dimenticare quella maledetta partita.

Ecco la storia di Tuta e del suo incubo veneziano. Pochi gol, tanti debiti. Martire ignaro di un calcio sempre più sbagliato. Vittima designata della passione che ha il Buon Dio per il dramma Shakespeariano. Per sempre nei nostri cuori.

Almeno uno, porca di quella troia.

24 gennaio 1999. Domenica mattina. Pippo Maniero si sveglia di buonora, con la certezza che la combine di oggi non può saltare. Tutti sono stati avvertiti. Tutti tranne Tuta, che però non segna da sei mesi ed è talmente imparanoiato da trascorrere le notti in bianco a sognare allibratori e creditori che lo inseguono con la spranga in mano.

No, Tuta non è certo un problema.

In partita tutto va secondo i piani. Uno a uno apparecchiato egregiamente, solo il recupero a dividere le due squadre dal finale concordato. Quando Tuta scende in campo per gli ultimi minuti, non si ricorda neppure come si fa a correre.

Punizione per il Venezia. La palla viene svogliatamente calciata in area. Nessuno cerca realmente di colpirla per spazzarla o per segnare il gol del 2 a 1. Tranne lui, ovviamente.

Quando Tuta alza la testa verso il cielo, non vede un pallone coperto di fango ma il proprio destino. Il cross sembra telecomandato, i difensori sono muti e immobili come delle statue. Tuta capisce che forse, lassù, qualcuno lo sta di nuovo aiutando. Salta più in alto di tutti. O meglio, è l’unico a saltare.

La nebbia si dirada per un istante, Tuta emerge nel firmamento, impatta il pallone all’apice del volo e lo scaraventa in porta. Corre come un pazzo sotto la curva. Il popolo veneziano esplode di gioia e invoca il suo nome.

Lui continua la sua esultanza, si sente il nuovo Ronaldo. Quando si gira, però, non trova uno stuolo di compagni a strofinargli gli scarpini: quelli si guardano tra di loro, increduli. Poi accennano una sbiadita esultanza che però non convince nessuno.

Al triplice fischio finale De Rosa e Garzya scattano nel tunnel come mai in quei 90 minuti, Maniero e De Ascentis li seguono a ruota. Con passo più blando li raggiunge anche Tuta. De Rosa lo insulta schiaffeggiandolo dolcemente, Spinesi cerca di rifilargli un cazzotto da dietro. Tuta non capisce, accenna un sorriso nervoso, guarda verso l’alto, in cerca di un segnale di conforto del buon vecchio Dio. Solo adesso Tuta capisce di essere un burattino, una pedina manovrata nella più crudele delle messinscene. Il gol che per lui poteva significare salvezza si è rivelato un vero e proprio harakiri. La combine è saltata, la sua carriera è finita, ma soprattutto ora è solo, in un tunnel buio, un purgatorio che lo accompagna verso l’inferno degli spogliatoi.

L’indomani un Tuta ancora dolorante viene imbarcato sul primo aereo diretto a Salvador de Bahia. Quando il jet decolla, Tuta non si volta indietro. E fa una promessa: non penserà mai più a Venezia, strapperà i giornali, brucerà le foto, venderà tutte le magliette. Non conserverà ricordi dell’Italia, farà di tutto per dimenticare quella maledetta partita.

Ecco la storia di Tuta e del suo incubo veneziano. Pochi gol, tanti debiti. Martire ignaro di un calcio sempre più sbagliato. Vittima designata della passione che ha il Buon Dio per il dramma Shakespeariano. Per sempre nei nostri cuori.

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