Scritto da: Calciatori Brutti
Attaccanti così sono una rarità. Anzi, probabilmente in Italia non si è mai visto di meglio. Perché trecento gol in carriera, cinque campionati, due coppe nazionali, tre supercoppe, quattro premi individuali dell’AIC non si vedono tutti i giorni. Si chiama Gabbiadini ed è un fenomeno. Melania ha quasi 36 anni e ora gioca a calcio a 5, ma per almeno dieci stagioni è stata una delle attaccanti più complete e prolifiche che abbiano mai giocato in Italia. Ha scritto la storia del calcio femminile, sia a livello di club (principalmente con la maglia del Verona) che in Nazionale. E a suon di gol e grandi prestazioni, ha spinto anche Manolo, di otto anni più giovane rispetto a lei, a diventare un attaccante.
“Un giorno ero allo stadio, me ne stavo seduto in tribuna come tutti i sabati con i miei genitori per vedere giocare mia sorella. Era una partita come tante altre. A un certo punto l’ho vista avvicinarsi alla porta palla al piede. Ha tirato una bomba micidiale. Il pallone si è alzato, poi si è andato a schiantare sulla traversa. E, per il colpo, si è bucato. Chissà, forse non sarà stato un gran pallone. Ma ricordo perfettamente quello che ho pensato in quel momento: ‘Mia sorella è veramente forte’. È stato allora che ho deciso che avrei fatto di tutto per diventare un calciatore forte come lei”.
La storia di Manolo Gabbiadini, da poche settimane tornato a essere un giocatore della Sampdoria, è iniziata così. Ed è proseguita grazie all’occhio di Mino Favini, che a livello giovanile è stato uno dei migliori dirigenti del calcio italiano: insomma, se vi chiedete come abbia potuto il vivaio dell’Atalanta produrre tanti talenti, dovete semplicemente leggervi la storia di questo signore.
È lui a scoprire Manolo, che dopo aver mosso i primi passi nel Bolgare, la squadra del suo paese, cresce nella Dea. Ha un sinistro educatissimo, potente e preciso: si parla di lui come uno dei talenti più promettenti del calcio italiano.
Eppure, fatica a trovare un posto in prima squadra all’Atalanta: passa da Cittadella e Bologna, ma tra prestiti e comproprietà è a Genova, con la maglia della Sampdoria, che trova la sua dimensione. Con Mihajlovic in panchina, Manolo dà il meglio di sé. Trova continuità di rendimento, gioca titolare e segna reti importanti, come la punizione con cui decide il Derby della Lanterna del 29 settembre 2014. Il tiro-cross che buca Perin è la perfetta espressione del suo mancino: velenoso in ogni occasione, anche quando non è esattamente diretto in porta, anche quando il gol non rientra nelle sue intenzioni.
Il Napoli lo vuole e lo compra, ma per lui alla corte di Maurizio Sarri non c’è troppo spazio. La miglior stagione di Higuain e, nell’annata successiva, l’esplosione di Dries Mertens da attaccante puro fanno sì che per Manolo restino solo le briciole.
“Les Reed went to Europe, to buy a Lamborghini, instead he's bought a striker, his name is Gabbiadini”.
Nel gennaio 2017 il Southampton lo preleva per 17 milioni di euro dai partenopei e i tifosi lo accolgono così, con un coro in perfetto stile inglese. Vive un febbraio da sogno: segna in ogni partita e accarezza l’impresa a Wembley, dove la squadra di Puel perde 3-2 la finale di Football League Cup contro il Manchester United di Mourinho. Segnano Ibra e Lingard, risponde con una doppietta Gabbiadini, prima che a tre minuti dalla fine Zlatan chiuda la partita.
A quarant’anni dalla storica FA Cup del 1976, i Saints, nello stadio più importante del calcio inglese, rischiano di riscrivere la storia, ma sono costretti a fermarsi sul più bello. E di fatto è lì che si ferma Manolo.
“È stato un anno tosto - spiega lui a proposito della sua seconda stagione inglese -, il più sofferto per il risultato di San Siro contro la Svezia e l’impiego ridotto al Southampton, ho vissuto momenti davvero difficili. Fui sorpreso quando Ventura mi disse che sarei stato titolare. Nello spogliatoio vedevo la tensione sui volti dei compagni. Io ero motivato, San Siro pieno fu un’emozione incredibile. Ho letto e sentito tante cose. Dico solo che avremmo potuto vincere con la difesa a tre o a quattro, con Insigne o senza. Tornai dalla partita con la Svezia e Pellegrino mise in panchina perché - parole sue - mi vedeva triste. Una scusa, ovviamente. Ma poi con Hughes la situazione non è cambiata. Non sono mai andato a chiedere spiegazioni, tanto avrei avuto risposte scontate. Continuo ad allenarmi e quando serve io ci sono. Come a Swansea: entrai nel finale e segnai il gol della salvezza. I tifosi mi vogliono bene, allo stadio cantano sempre un bellissimo coro dedicato a me”.
La rete che mantiene i Saints in Premier League è praticamente l’ultima gioia di Manolo in Inghilterra. Il resto è storia recentissima. La Sampdoria lo rivuole, lui sceglie di tornare in blucerchiato. Sogna ancora la Nazionale, spera di ritrovare continuità di rendimento e in fase realizzativa, proprio come il suo modello, sua sorella. Non è troppo tardi, in fondo Manolo ha 27 anni. E la strada per lui è tracciata: l’ha già percorsa Melania, la più forte di tutte.