Scritto da: Calciatori Brutti
È l’estate del 1999 quando il presidente dell’Empoli Fabrizio Corsi dice yes al proprio direttore sportivo per l’acquisto di due giocatori in arrivo dall’altra parte del mondo.
Si tratta di Mark Bresciano e Vincenzo Grella. Entrambi australiani di Melbourne. Entrambi centrocampisti. Entrambi di origini italiani. Entrambi sconosciuti.
La nostra penna e il nostro cuore oggi si concentreranno sul primo. Un ragazzone di 182 centimetri e 73 chilogrammi di peso. Capelli pochi (quasi zero quando sbarca nel nostro paese), qualità tanta, quantità ancora di più.
Un esterno molto duttile, in grado di ricoprire tutti (ma proprio tutti) i ruoli della linea mediana. Segni particolari: per segnare si contorce in ogni modo possibile, ma una volta che la palla supera la linea di porta si immobilizza. Fermo come una statua ad aspettare gli abbracci dei compagni.
Un qualcosa che lo porta ad assomigliare più a un clamoroso bug su Fifa piuttosto che a un genio.
Ma il calcio non lo sa e se ne frega. Lui inizia a girare per l’Italia. Parma, Palermo e Lazio, prima di accettare l’idea di andare a svernare al caldo in quel di Dubai, prima, e Doha, poi. In Nazionale conquista un bel filotto di presenze e strappa la convocazione al Mondiale del 2006. Ce lo ricordiamo tutti per essere la vittima del fallo che ha portato all’espulsione di Materazzi agli ottavi di finale poi vinti grazie al rigore di Francesco Totti.
Ma Mark Bresciano è molto più di questo.
Terminata la carriera da calciatore, Bresciano è tornato a vivere in Australia. Recentemente ha raccontato: “Mi manca il pallone, che in Italia è considerato come una religione, ma non il calcio, per il quale ho perso la passione e sono solamente uno spettatore”. Così, allontanatosi dal mondo del pallone, è tornato a Melbourne con la moglie e le sue due figlie (entrambe nate a Palermo), dove ha iniziato la sua attività di imprenditore.
Inizialmente qualche investimento nel settore immobiliare, poi la svolta: l’ex centrocampista si è buttato nella coltivazione di cannabis a scopo terapeutico. La cannabis medicinale si ottiene da piante di marijuana cresciute senza l’utilizzo di pesticidi: ogni step legato alla cura e allo sviluppo della pianta, fino alla maturazione e al successivo confezionamento del prodotto finito, deve attenersi scrupolosamente a delle leggi precise. I prodotti della pianta possono creare sollievo a pazienti affetti da sclerosi multipla, sindrome di Tourette, anoressia nervosa (stimolando la fame), glaucoma e a tanti altri malati, persino i chemioterapici.
Bresciano ha acquistato i terreni per le piantagioni e le licenze necessarie e nel 2019 ha co-fondato la sua attività, chiamata Greenhope. Nella fase d’avvio del proprio business, Mark e il suo socio hanno viaggiato molto per motivi di studio: si sono recati in Canada, negli USA e in Europa per carpire l’esperienza di chi lavora già da tempo nel settore. Hanno solo carpito eh, guardare ma non toccare.
La cannabis a scopo medicinale ha una grande tradizione in Australia: fu popolare durante il 1800, prima della proibizione nel 1920. Lo stesso governo australiano, nel 2018, aveva aperto all’ipotesi di rendere la marijuana un vero e proprio business continentale: “Vorremmo essere, potenzialmente, il fornitore numero uno al mondo di cannabis”, aveva detto il ministro della Salute, appartenente al partito liberale.
“Questo progetto mi dà lo stimolo per alzarmi tutti i giorni, è come se fossi rinato. Mi fa letteralmente godere”, ha raccontato Bresciano. Fai un lavoro che ti piace e non lavorerai neanche un giorno della tua vita, diceva qualcuno. E allora, forse, dall’erba del campo di calcio a un altro tipo di erba, Mark si è scelto la cosa migliore da fare nel posto giusto in cui farla.
Cosa ne pensi della nuova vita da uomo d’affari di Bresciano? Scrivilo nei commenti e, se vuoi, proponi la prossima storia imprenditoriale da raccontare. La più bella sarà pubblicata ogni settimana, grazie al supporto di Tinaba.
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